Pietra d’inciampo dei sistemi filosofici, il problema del male sembra attrarre in misura assai limitata l’attenzione delle filosofie contemporanee. Nel cosiddetto ‘secolo breve’, così radicalmente segnato dallo scatenamento del male (morale e fisico), ma anche nella nostra epoca di cambiamento, il tema del male è parso e pare risultare poco interessante per un pensiero prevalentemente attirato da indagini analitiche ed empiriche. La filosofia classica tedesca invece – che pure viene impropriamente catalogata come una sequenza di sistematiche astratte – si è seriamente confrontata con il tema del male, all’interno di un pensiero fondante, anche se differenziato, che tiene fermo il binomio dialettico di ragione e libertà. Il male ha una natura spirituale, è negatività attiva, non mera assenza, e questo ne spiega
la valenza distruttiva. La ricerca che segue è soprattutto un invito a porsi riflessivamente in ascolto di quattro protagonisti della filosofia tedesca sul tema del male, con la consapevolezza che le loro lezioni sollecitino a cercare ancora e ‘pensare altrimenti’.
Marco Ivaldo – scolaro di Alberto Caracciolo – è stato professore ordinario di Filosofia morale nell’Università di Napoli Federico II. Le sue ricerche vertono sulla filosofia trascendentale, l’ontologia fondamentale, l’etica, la filosofia della religione, con particolare attenzione al modo in cui esse vengono declinate nell’ambito della filosofia tedesca classica. È condirettore delle «Fichte-Studien».