Dante Alighieri non ha lasciato autografi: niente si è salvato del modo in cui ha messo sulla pagina i suoi testi. Ma Dante ha sempre lavorato con la forma delle parole, su molteplici scale di grandezza. Anche nel primo anniversario della morte di Beatrice (1291) disegna angeli e scrive un sonetto che ha due prime quartine, figura metrica strana che si lega per virtù di forma al disegno raccontato. Riverbero o ombra ultima della Trinità, trent’anni dopo, nel trentatreesimo canto del Paradiso è la perfezione enigmatica dell’immagine «iri da iri»: in rima, forma fonetica, cromatica, iconica e grafica.
Certamente IRI è inventato da Dante: parola polisemica, adamica e mitologica, specchio simmetrico di sé stessa, proiettato sulla riga del verso con una rotazione virtuale.
Questa edizione della Commedia recupera solo uno dei molti aspetti grafici che hanno un senso anche per gli occhi: gli ACROSTICI delle lettere maiuscole di terzina.